Francesco
Bellotto
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ENGELBERTA

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Fotografie di Fabio Barettin
Fotografie di Guido Crosera (con credit su banda inferiore)
Video di Matteo Londero
Bozzetto di Alessia Colosso

«Una partitura dunque di sommo valore, immersa in una dimensione di  tenerissima, soffusa, dolce melanconia che costituisce la cifra  caratteristica, ed il maggior pregio di tutto il suo impianto musicale».

«Concertazione di squisita sensibilità e salda direzione le dobbiamo a Francesco Erle, a capo dell'efficiente Orchestra Barocca del Conservatorio Marcello».

«Perfettamente riuscita, nella sua sobria eleganza, la mise en scéne di Francesco Bellotto,  che molta attenzione dedica all'espressività dei singoli personaggi.  Gioca poi benissimo con i figuranti, costruendo bellissimi tableaux: fascinose, in particolare, le grandi figure alate dell'Angelo Bianco e dell'Angelo Nero. Le scenografie di Alessia Colosso, nella loro classica linearità, funzionano egregiamente; gradevoli e ricercati nel disegno i costumi di Carlos Tieppo; calzanti le luci di Fabio Barettin; i movimento coreografici sono di Arianna Moro».

«Non c'è dubbio che il nostro '700 sia una miniera ancora ricca di filoni  auriferi, tutti da esplorare. Lo dimostra questa splendida Engelberta presentata al Teatro Malibran di Venezia».

Dalla recensione di Gilberto Mion
1. LA GENESI DI ENGELBERTA
L'Engelberta è un dramma per musica in un Prologo e cinque atti rappresentato per la prima volta a Milano il 21 giugno 1708 su libretto di Apostolo Zeno (1668-1750) e musica di Andrea Fiorè (1668-1732), maestro della Cappella Reale dei Savoia. La nuova produzione era inserita nel denso carnet di eventi organizzati in occasione della visita della duchessa Elisabetta Cristina di Brunswick-Wolfenbüttel (1691-1750). La nobile sedicenne in quei mesi era impegnata in un fastoso viaggio cerimoniale da Vienna verso la Spagna, dove avrebbe raggiunto il promesso sposo Carlo d'Asburgo (1685-1740) alla corte di Barcellona. Le nozze verranno celebrate il 1° agosto: Elisabetta Cristina diventerà in quella data ufficialmente regina di Spagna e assumerà nel 1711 la dignità di Imperatrice Romano-Germanica a seguito dell'elezione del consorte al soglio.

Per la tappa milanese del viaggio si organizzarono sontuosi festeggiamenti con la collaborazione, fra l'altro, del più illustre architetto/scenografo italiano del periodo, Ferdinando Galli Bibiena (1657-1743). Si mise in scena anche L'Engelberta al «Teatro Regio» di Palazzo Ducale, nuova sala allestita in tutta fretta dopo che un incendio aveva devastato il Salone Margherita all'inizio di quello stesso 1708. (1)

In considerazione del prestigio della circostanza, la reputazione di Apostolo Zeno in quel 1708 doveva essere necessariamente altissima, e la nuova Engelberta soddisfece le attese, diventando -fra l'altro- un testo di riferimento nel catalogo di Zeno: la sua fortuna fu tale da indurre gli impresari della penisola ad almeno quindici riprese nella prima metà del Settecento. Gli autori delle musiche e delle scene naturalmente cambiavano ad ogni piazza, come prassi di quegli anni. Riveste particolare importanza la prima ripresa del testo a pochi mesi di distanza dal debutto: il 26 dicembre 1708 Engelberta (questa volta senza articolo determinativo) fu messa in scena al teatro San Cassiano, un po' scorciata e priva del Prologo d'occasione, ma pur sempre in cinque atti. (2) Questa è la versione che la Fondazione Teatro La Fenice ha proposto al pubblico in prima mondiale in tempi moderni.

Se possibile, l'impegno produttivo della ripresa veneziana fu  maggiore rispetto a quello dell'esordio 'imperiale' a Milano. Nel teatro di Francesco Tron fu radunata una compagnia di eccelsi virtuosi quali il Senesino, Santa Stella, la Romanina e il Cortona, per limitarci solamente ai primi quattro ruoli. In molta bibliografia e nelle cronologie viene indicato come autore delle musiche di questa Engelberta Francesco Gasparini assieme a Tomaso Albinoni, celeberrimo compositore veneziano che in quegli anni collaborava stabilmente con i Tron assieme a Gasparini. Del resto, anche l'attribuzione il libretto è frutto della collaborazione paritetica tra Pariati e Zeno.

2. LE FONTI NARRATIVE
La scelta dell'ambientazione della trama potrebbe essere preso come caso di scuola per dimostrare quanto importante fosse la connessione tra politica e teatro d'opera: la trama è concepita come strumento di celebrazione degli Asburgo. Le perigliose vicende della protagonista eponima sembrano rispondere a tecniche che oggi non esiteremmo a definire di reputation building.

Non fu difficile per Zeno, storico di vaglia, trovare nel passato una coppia imperiale che esemplasse le magnifiche virtù di Elisabetta Cristina e Carlo. La scelta cadde su Ludovico II il Giovane (825-875) e Angilberga d'Alsazia (imperatrice di stirpe longobarda, vissuta fra 830 e 901, presumibilmente figlia di Adelchi Duca di Spoleto e madre d'Ermengarda). Zeno colloca perciò la vicenda in epoca carolingia, precisamente nell'anno 860.

Come base per il lavoro, Zeno utilizzò un composito insieme di fonti storiche e drammatiche latine, spagnole e italiane assieme ad alcuni scenari della commedia dell'arte e fors'anche libretti d'opera.

Zeno nell'Avvertenza al libretto cita Felice Astolfi, che nel suo Della Officina Istorica (ristampato in innumerevoli occasioni dopo l'esordio veneziano del 1601) avrebbe raccontato l'episodio d'una imperatrice accusata falsamente di avvelenamento, anche se -lo apprendiamo per excusatio dall'autore stesso- il fatto era «susseguentemente accaduto sotto un altro Imperadore», dunque non nell'epoca di Lodovico. L'Astolfi in effetti racconta la leggenda del duca Carlo di Valois-Orléans (1394-1465), al quale l'ingenua moglie Maria di Cleves  somministrò una «vivanda» magica cercando di recuperarne l'amore. Il filtro però era un veleno che pose Carlo in pericolo di morte.
Il fraudolento scambio di filtri (bevanda amatoria/veleno) si rintraccia nelle cronache anche associato alla figura di Gaston III Fébus conte di Foix (1331-391), o -volendo risalire a modelli archetipici- anche a Ferora, fratello di Erode, avvelenato, appunto, per mezzo d'un falso filtro d'amore.

Tuttavia, il percorso narrativo centrale utilizzato da Zeno per il libretto non è contenuto nella Officina Istorica, ma in altre opere dell'Astolfi che riprendono fonti medievali. (3) La narrazione si basa sulla peripezia d'una bellissima imperatrice romana devota alla Madonna e falsamente accusata dal cognato d'aver voluto «lussuriare» con lui in assenza del marito. Nei Cento Avenimenti  di Astolfi si racconta perciò che «Prestossi l'imperadore fede, & comandò ad alcuni suoi servi, che conducendo la Imperatrice in certa folta selva, quivi le spiccassero la testa dal busto» [...]. «Ella di ciò accorgendosi alzò la voce quanto puote, chiamando in suo aiuto la Reina del Cielo. Et ecco, che un nobile Cavaliere ivi passando vicino, e sentendo le grida di donna [..] et veggendo i due scelerati, che stavano in atto di farle forza, gli uccise immantinente.» Dopo molti anni l'imperatrice, creduta morta e invece fuggita lontano sotto falso nome, grazie all'intercessione della Vergine Maria ritorna a Roma in incognito, recando con sé un'erba miracolosa in grado di risanare le malattie. L'imperatore è stato colpito dalla lebbra, e anche il fratello è morto per il medesimo morbo dopo aver confessato davanti al Papa la verità sull'imeratrice. La donna guarisce il consorte dalla lebbra, ma non dall'infelicità: conscio dell'errore irreparabile, l'imperatore, è divorato dal rimorso. Finalmente -vedendo il pentimento dell'imperatore- la guaritrice miracolosa rivela la sua vera identità, raccontando tutte le peripezie occorse. A questo punto «Voleva l'Imperadore come se fosse da morte risorta, di nuovo sposarla in consorte: ma ella, con pace di lui, si fece dal Papa in un Monastero vestire, & benedire Monaca.»

Certo è che la figura leggendaria di questa imperatrice ricorda abbastanza da vicino la figura storica della nostra Angilberga d'Alsazia, non foss'altro per l'ultima parte della sua biografia: infatti, dopo la morte dell'imperatore, Angilberga si fece monaca e fondò il monastero di San Sisto in Piacenza, diventandone Badessa nell'896.

Sono dunque molti i dettagli di trama che corroborano la lettura 'politica' del soggetto: l'ambientazione nel sacro romano impero da poco nato dalla dinastia di Carlo Magno; la coppia imperiale di ceppo germanico regnante su genti latine; il sovrano cattolico impegnato in una lunga guerra a difesa dell'impero alleato al papato; la ricongiunzione della coppia dopo lungo viaggio e attesa; la proclamazione pubblica della «forza dell'innocenza» della virtuosa sposa imperiale; l'aiuto risolutivo di un nobilissimo duca francese che, esattamente come Eugenio di Savoia (Governatore di Milano nel 1708), si era messo al servizio dell'imperatore germanico. (4)

Quasi fosse un racconto agiografico, la narrazione ricevette diverse reintonazioni nei secoli: evidenti sono la matrice controriformista e il messaggio educativo, di mirabile esempio. Non a caso, prima di Zeno un'altra imperatrice longobarda, similmente calunniata e analogamente perseguitata era diventata protagonista del dramma Tragico Sacro La Gondeberga overo Le vittorie dell'innocenza, di Bartolomeo Ippolito Ciurletti (Trento 1684). In questo libretto si presenta anche il tema dell'ordalia che si ritrova nel finale del dramma di Zeno.

In linea generale si può però pensare a questo interessantissimo libretto come a una sorta di “palinsesto” sul quale Zeno stratifica una serie di antichissime suggestioni narrative, poetiche, religiose, teatrali. Schematicamente si propone un primo elenco parziale:
1) Tema “Tristaniano” del Filtro d'amore e ambivalenza amore/morte.
2) Tema dell'usignolo come messaggero di dolore ed eco di vita ultraterrena. (derivato dalla tradizione classica e dal mito di Tereo, Filomela e Procne Ovidio, Metamorfosi, libro VI; anche nella cultura esoterica fortissima e antica è la simbologia legata a Rondini e Usignoli).
3) Tema del viaggio nella Selva, dove fra mille pericoli, grazie all'intervento di un principe/cavaliere avviene la rivelazione di una verità superiore (cfr. ancora Filomela e la Commedia dantesca; cfr. anche la tradizione novellistica delle favole: La Fontaine XV-Philomèle et Progné; o la nota intonazione stile Biancaneve -che i Grimm riprendono da antiche tradizioni folcloriche).
4) La mutilazione come suggello del delitto (la lingua in Filomela, il cuore di un animale in Biancaneve che diventa la spada sporca del sangue di Ottone in Engelberta).
5) Tema del viaggio nell'aldilà per recuperare l'amata e ricondurla in vita(cfr. Orfeo e la Commedia), un viaggio iniziatico di purificazione dell'uomo indotto in errore.
6) Tema della pazzia come abbandono della luce di Dio (cfr. IV capitolo del libro di Daniele della Bibbia, con il racconto della pazzia di Nabucodonosor).
7) Tema cosiddetto della “Femme chaste”: una regina virtuosa perseguitata sessualmente e calunniata dal reggente (tipicamente il fratello del re) e per questo condannata a subire una peripezia, con il recupero finale dell'onore (Cfr. La pia donna israelita nelle Mille e una notte).

TRAMA DELL'OPERA (VERSIONE MALIBRAN 2021)
L'azione si apre con l'incontro fra i giovani innamorati Metilde (figlia di primo letto dell'imperatrice Engelberta) e Bonoso (Duca di Arles). Bonoso vuol rinunciare al loro legame perché Metilde è promessa ad Arrigo, che è di sangue reale, e dunque di rango più elevato. Bonoso non vuol disobbedire al comando imperiale, ma Metilde è innamorata, non si cura di questioni di lignaggio e, anzi, insiste perché il Duca non si faccia da parte. Addirittura, quando si presenta Arrigo lo canzona e se ne allontana.
Nel frattempo è ritornato ad Aquisgrana l’imperatore Lodovico, reduce  da una vittoriosa campagna militare in Egitto. Il sovrano è divorato dalla gelosia: ha ricevuto una lettera anonima in cui si denuncia l'infedeltà della moglie. Il principe Ernesto, viceimperatore, conferma i sospetti e calunnia Engelberta, sostenendo di essere stato lui stesso corteggiato dall'imperatrice. In realtà, durante l'assenza di Lodovico era successo l'opposto: Ernesto aveva tentato di sedurre Engelberta ricevendone un netto rifiuto. Lodovico crede alla fandonia del suo vicario ma è combattuto: non sa decidere se condannare la moglie o perdonarla. Intanto Ottone, capitano delle guardie imperiali, si allea alla cospirazione di Ernesto.
Engelberta incontra il marito e ne equivoca il comportamento scontroso. Si convince che sia innamorato di un'altra donna e così cade ingenuamente nella trappola di Ottone che le consegna un filtro magico col quale -a suo dire- avrebbe potuto riconquistare l'amore del consorte.
A quel punto Ernesto riferisce a Lodovico che Engelberta progetta di  assassinarlo: la bottiglietta viene ritrovata e il contenuto si rivela essere un potentissimo veleno. Lodovico, definitivamente persuaso della colpevolezza della moglie, ordina al fido Bonoso di condurla nel bosco e ucciderla: in ricompensa avrà in sposa l'amata Metilde. Ma il Duca, quando si trova al cospetto di Engelberta, prima di ucciderla racconta le intenzioni di Lodovico, riferendole di come si trovi accusata del tentativo di avvelenamento. L'imperatrice solo in quel momento riesce a capire il complotto in atto. Consegna a Bonoso una lettera di Ernesto in cui l'infido vicario si proponeva come amante: è la prova inoppugnabile che scagiona l'imperatrice e accusa il traditore. Chiede comunque che la condanna venga eseguita e che il suo cuore venga strappato e portato al marito, perché Lodovico possa vederne coi suoi occhi la purezza e l'innocenza. Bonoso conduce nel profondo del bosco Engelberta. Poi, Giunto a corte con le armi insanguinate, racconta all'imperatore d'aver eseguito l'ordine. Al cospetto di Ernesto gli consegna la famosa lettera. Il vicario cerca di difendersi negando l'evidenza, smentisce che si tratti d'un suo scritto ed -anzi- sfida Bonoso in pubblica tenzone. Lodovico -disperato per aver creduto alle infamie del reggente- autorizza il duello, mentre Metilda è inorridita dall'azione di Bonoso.

Nel cimitero di Aquisgrana Lodovico si dispera davanti al sepolcro di Engelberta. Vorrebbe suicidarsi quando una voce lo scuote, accusandolo d'essere un empio, un mentitore capace solo di pianto «falso e vano». Si materializza il fantasma di Engelberta che chiede invece che il suo onore venga ristabilito pubblicamente e che si faccia vendetta per il torto subito.

Nell'anfiteatro di Aquisgrana si prepara il duello. Tutto è pronto, i due paladini stanno per battersi quando Ernesto impazzisce, divorato dall'invidia e dalla colpa. In preda al delirio il reprobo confessa ogni cosa. Viene arrestato e portato al supplizio.

Lodovico è ancor più disperato. Ma ricompare l'amata sposa, rimasta nascosta fra gli astanti fino a quel momento. L'imperatore dapprima non crede ai propri occhi, poi proclama solennemente l'innocenza della consorte. Ogni inganno è sciolto: i coniugi ritrovano finalmente la pace e la serenità. Rimane un ultimo atto per completare il trionfo della virtù: Lodovico ricompensa Bonoso nominandolo re ed Engelberta gli concede finalmente la mano di Metilde.


TRAMA DELL'OPERA COMPLETA
Il dramma s'apre con il ritorno ad Aquisgrana dell’imperatore Lodovico, reduce  da una vittoriosa campagna militare in Egitto. Ma il sovrano, invece d'essere felice, è divorato dalla gelosia: ha ricevuto una lettera anonima in cui si denuncia l'infedeltà della moglie. Interroga il suo vicario, il principe Ernesto, che conferma i sospetti, rivelando oltretutto come l'infedele Engelberta avesse tentato di sedurre proprio lui. In realtà, durante l'assenza di Lodovico era successo l'opposto: Ernesto si era proposto come amante all’imperatrice ricevendone un netto rifiuto. Lodovico crede alla calunnia, però ama Engelberta ed è combattuto: non sa se condannarla a morte o perdonarla. In fin dei conti si tratterebbe d'un tradimento progettato ma non consumato. Intanto Ottone, capitano delle guardie imperiali, si allea alla cospirazione di Ernesto: odia l'imperatrice perché è convinto che abbia ostacolato la sua carriera.
Engelberta, nel frattempo, equivoca il comportamento scontroso di Lodovico e si convince che sia innamorato di un'altra donna: casca ingenuamente nella trappola di Ottone che le procura un filtro magico per riconquistare l'amore del marito.
Ernesto riferisce a Lodovico che Engelberta nasconderebbe una pozione per assassinarlo: la bottiglietta viene ritrovata e il contenuto si rivela essere un potentissimo veleno. Lodovico, definitivamente persuaso della colpevolezza della moglie, ordina a Bonoso, Duca di Arles, di ucciderla. Bonoso, oltre ad essere leale amico dell'imperatore, è anche l'innamorato (ricambiato) di Metilde, figlia di primo letto di Engelberta. Ma Metilde non può sposarlo: è stata già promessa dalla madre ad Arrigo, principe erede al trono d'Aquitania.
Ma il fido Bonoso crede nell'innocenza dell'imperatrice: non esegue la sentenza e invece le svela le intenzioni di Lodovico. Mettendo assieme le informazioni ricostruiscono trama del complotto ordito da Ernesto ed Ottone. Engelberta gli consegna perciò una lettera di Ernesto in cui l'infido vicario si era proposto come amante: è la prova inoppugnabile che scagiona l'imperatrice e accusa il traditore. Bonoso porta nel profondo del bosco Engelberta per nasconderla. Sulla strada di ritorno incontra Ottone, lo fa confessare e lo uccide. Giunto a corte con le armi insanguinate fa credere a Lodovico d'aver eseguito l'ordine e gli consegna la famosa lettera. Ernesto cerca di difendersi negando l'evidenza, smentisce che si tratti d'un suo scritto ed -anzi- sfida Bonoso in pubblica tenzone. Lodovico autorizza il duello ma si assicura che Ernesto non fugga da Aquisgrana mettendolo sotto la custodia delle guardie. L'imperatore è disperato per aver creduto alle infamie del reggente: chiede dunque a Bonoso di andare nel bosco a raccogliere le spoglie di Engelberta per darne degna sepoltura. L'amico gli risponde d'aver prevenuto la richiesta: i resti dell'imperatrice sono già in città, nel mausoleo di famiglia. Affranto, Lodovico si allontana per raggiungere la tomba dell'amata, mentre Metilda, inorridita dall'azione di Bonoso (che a tutte le evidenze appare come assassino della madre) lo scaccia, e per dispetto concede la propria mano ad Arrigo. Sorprendentemente Arrigo però la ripudia: non vuol più imparentarsi con la figlia d'una donna corrotta, preferisce preservare reputazione e purezza del suo sangue reale. Le dà l'addio e s'allontana sprezzante.

Nel cimitero di Aquisgrana Lodovico si dispera davanti al sepolcro di Engelberta, vorrebbe addirittura suicidarsi, quando una voce dall'aldilà lo scuote, accusandolo d'essere un empio, un mentitore capace solo di pianto «falso e vano». Si materializza il fantasma di Engelberta che non concede alcun perdono e chiede invece che il suo onore venga ristabilito pubblicamente e che si faccia vendetta per il torto subito.

Nell'anfiteatro di Aquisgrana si prepara il duello. Fra il pubblico, inatteso, ricompare anche Arrigo, che si avvicina a Metilde: la notizia della lettera di Ernesto ha riabilitato il nome di Engelberta, e dunque si sentirebbe nuovamente pronto alle nozze. Ma, a questo punto, è la giovane principessa a sdegnare un pretendente così opportunista e vacuo.

Tutto è pronto, i due paladini stanno per battersi quando Ernesto impazzisce, divorato dall'invidia e dai sensi di colpa per l'assassinio della bella e onesta Engelberta. In preda al delirio il reprobo confessa ogni cosa. Viene arrestato e portato al supplizio.

Lodovico è ancor più disperato quando ricompare, stavolta in carne ed ossa, l'amata sposa rimasta nascosta fra gli astanti fino a quel momento. L'imperatore dapprima non crede ai propri occhi, poi proclama solennemente l'innocenza della consorte al cospetto delle genti accorse. Ogni inganno è sciolto: i coniugi ritrovano finalmente la pace e la serenità. Rimane un ultimo atto per completare il trionfo della virtù: Lodovico ricompensa Bonoso nominandolo re ed Engelberta gli concede la mano della figlia Metilde.




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