Francesco
Bellotto
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IL TROVATORE

about me > TITOLI > 2019
DIRECTOR'S NOTES
Bozzetti Choi Jinkyu - 2019
Bozzetti (rendering) Choi Jinkyu - 2019
Bozzetti simulazione proiezioni - 2019
  
Intervista a Francesco Bellotto
in occasione del Trovatore per la Gueongnam Opera Season 2019


Qual è il concetto di regia per il tuo Il Trovatore?
Il Trovatore rappresenta per Giuseppe Verdi un esperimento abbastanza strano. Siamo all'inizio degli anni Cinquanta dell'Ottocento, e in quel periodo il compositore aveva già raggiunto un grande successo come compositore sperimentale: aveva introdotto grandissime novità drammaturgiche, e titoli come Macbeth (1847) o Rigoletto (1851) rappresentavano una vera e propria 'rivoluzione' per il pubblico italiano: lì i personaggi dovevano recitare quasi come attori di prosa, non inseguivano più un ideale astratto di eleganza musicale convenzionale, avevano una psicologia realistica. In Trovatore (1853), scritta solo due anni dopo Rigoletto, tutto invece viene risolto dalla voce, dal canto lirico: si potrebbe pensare dunque a questo titolo come al più grande omaggio di Verdi alla tradizione del belcanto di Bellini e Donizetti. E il mio concetto di regia vuole mettere in evidenza proprio questo aspetto: la centralità della musica e del canto. Per un regista (ma anche per i cantanti) è infatti un'opera molto difficile, perché il libretto è costruito come una serie di “racconti” dei personaggi principali. Questi racconti sono dentro grandi arie memorabili. In quest'opera tutto viene “detto” e quasi niente viene “mostrato” sulla scena: e questo è un grosso problema per chi deve fare uno spettacolo. Nemmeno la guerra, la Spagna, la Biscaglia, l'epoca storica sono davvero descritte. Per Verdi e il librettista Cammarano la guerra è una specie di scenografia sullo sfondo che non partecipa davvero.  
Per questa ragione, dal punto di vista dei generei letterari Il Trovatore assomiglia molto a una favola: tutte le favole cominciano con le parole “c'era una volta in un paese molto lontano” (in inglese “once upon a time in a land far, faraway”). Anche i personaggi di quest'opera, come nelle favole, non hanno una “psicologia” in senso moderno: non sono persone che ragionano, hanno delle esperienze e cambiano con il tempo, come capita nel mondo reale. Sono quattro caratteri fissi: pensano la stessa cosa dall'inizio dell'opera, e rimangono fino in fondo vittime del loro pensiero, della loro “ossessione”. Una vera forza “magica” esterna, una maledizione, una vendetta che li fa incontrare, li fa innamorare, li fa combattere, nasconde la vera identità di Manrico, trasforma una madre nella assassina di suo figlio e un conte nel boia di suo fratello. Pensate alla raffinatezza del progetto di Verdi: quando vuole raccontare questa forza magica usa la melodia; il disastro avviene per l'innamoramento di Leonora e Manrico. E come si incontrano i due? Attraverso la musica, con il canto del Trovatore che supera i muri dei castelli, vola nell'aria: la voce di Manrico, musicista, è come il fuso della Bella addormentata nel bosco o la mela di Biancaneve.  
Nella nostra messinscena, i costumi saranno dunque storici, ispirati al tardo Medioevo europeo: questo ci aiuterà immediatamente a creare quella distanza nel tempo tipica della favola.  

Il Trovatore ha un finale tragico: nella tua messinscena quale personaggio ha un destino maggiormente tragico?
Nel Trovatore, come nelle ultime tragedie di Donizetti, tutti i personaggi sono degli sconfitti. I quattro protagonisti vedono morire tutti i loro affetti. Però se devo indicare quale personaggio suscita in me maggiore compassione, devo dire che il conte di Luna con la sua frase «E vivo ancor» rappresenta il dramma peggiore per un uomo: Azucena ha perso il figlio ma ha realizzato la vendetta di sua madre; Manrico e Leonora muoiono innocenti ma si incontreranno in un mondo ideale, nel loro 'paradiso'; Luna, invece, è condannato alla cosa più terribile, alla solitudine.   

Per quale motivo hai scelto questo percorso di regia?
Prima di tutto per il testo che Verdi e Cammarano hanno scritto. Io credo che un regista d'opera debba far vedere al pubblico le cose che sono dentro il testo. Per spiegare meglio uso una metafora: il testo di un'opera è scritto in un foglio, in una partitura piena di pentagrammi. E il pentagramma cosa è? Una serie di righe come le sbarre di ferro di una prigione. Il palcoscenico, il teatro, è imprigionato dentro quella prigione e chi fa teatro d'opera deve liberare i personaggi, farli fuggire, farli camminare nel mondo, vivere per il pubblico.  

La vita di un regista d'opera è felice?
Non so rispondere in maniera così generale. È una vita sicuramente complicata per i viaggi e per l'organizzazione del lavoro (bisogna riuscire ad essere manager di se stessi, e io non sempre sono capace), ma allo stesso tempo è una vita affascinante. Per me il lavoro di regia è simile a quello di uno scrittore: ma il regista non usa carta e penna, usa lo spazio, il tempo, le persone e gli oggetti fisici. Si tratta di creare un mondo che non esiste, di dare forma e sostanza a delle fantasie, a delle idee. Il regista crea dei piccoli mondi: certo, sono mondi che scompaiono in fretta, quando lo spettacolo finisce. Ma se sei riuscito a emozionare il tuo pubblico allora quella emozione, quelle sensazioni, vivono ancora e continuano a esistere nel cuore degli spettatori. È una cosa bellissima, quando riesce.

Nei panni di un regista quale fascino può avere un'opera come il Trovatore?
Ritorno a quello che dicevo all'inizio. Tu come regista puoi dare vita alle idee usando i cantanti, la scena, le luci, gli attrezzi. Hai un grande potere, ma quando fai questa operazione 'creativa' devi sempre ricordarti che le tue idee derivano da una storia che ha raccontato qualcun altro con parole e musica ben precise. Ecco, in questo senso per Trovatore devo dire che la partitura di Verdi è un vero capolavoro. La musica qui ha davvero un potere 'misterioso', quasi magico, che ti spinge a muovere i personaggi e l'azione in un modo ben preciso. Nuotare in questo fiume impetuoso per scoprire dove il flusso ti porterà, è l'affascinante avventura che vivo ogni volta che apro lo spartito di Trovatore.    
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